I nostri bambini non sono niente?

by Claudia Ravaldi
G.Presutti

Sul primo numero del 2010 della rivista Vanity Fair, è stato pubblicato un servizio sulla morte perinatale. Il servizio è corredato dalle immagini di Giovanni Presutti, tratte dal progetto fotografico “Piccoli Principi” di cui abbiamo già parlato. La caporedattrice storie della rivista, Silvia Nucini, ha intervistato sei delle coppie che avevano partecipato al progetto fotografico ed ha raccolto le loro storie, dedicando ad ognuna una pagina del suo articolo. Sei pagine su una delle più importanti riviste settimanali del nostro paese.

Non importa che vi diciamo quanto è rara e speciale questa evenienza. Da quando esiste CiaoLapo cerchiamo di sfondare il muro di indifferenza, falso pudore e vera paura che caratterizza i mezzi di comunicazione del nostro paese. E ora un artista della fotografia ed una giornalista di alto livello (abituata a intervistare i cosiddetti “big” dello spettacolo e della cultura a giro per il mondo) prestano la loro professionalità alla promozione della cultura sul lutto perinatale nel nostro paese.

Siamo veramente molto soddisfatti e ringraziamo di cuore Giovanni e Silvia.

Chi volesse lasciare un commento o un ringraziamento a Silvia Nucini, può farlo nel suo blog ufficiale: matrioska.vanityfair.it

Chi non avesse avuto occasione di comprare la rivista, può scaricare l’articolo in pdf qui:

Dal Blog di Silvia Nucini

Succede a tante, succede spesso, ma non si dice, perché – dai – è meglio non pensarci. E giù una pacca sulla spalla, un mezzo abbraccio, e la formula magica: «Ne farete un altro!».

Ne conosco un po’ di donne che hanno perso un bambino in gravidanza, alcune all’inizio, alcune alla fine. Non fa così tanta differenza, poi, perché l’intensità del dolore non si misura in settimane di gestazione. Ripensando a loro adesso, dopo aver scritto il pezzo che troverete su Vanity Fair n.1- 2010 (I nostri bambini non sono niente?) penso a tutte le cazzate che ho detto, agli occhi bassi, all’imbarazzo.

Francesca, Flavia, Silvia, Gina, Claudia e Roberta, le «mamme speciali» che ho incontrato per il servizio sui lutti perinatali – storie diverse, chi con più, chi con meno cocci in mano da rimettere insieme – avevano voglia di parlarmi dei loro bambini che non ci sono più, lo hanno fatto con gli occhi accesi, il sorriso sulle labbra. Le lacrime sono scese ripensando all’insensibilità delle persone, alla bolla di silenzio in cui la gente le ha chiuse, dopo. Da quando in qua il silenzio fa dimenticare? E poi, perché bisogna sempre dimenticare?

Un discorso a parte merita il personale medico che ha a che fare con aborti e morti in utero. Una gravidanza ogni 300 non va a buon fine, quindi non possiamo più dire che sono casi così eccezionali da cogliere impreparato chi, preparato, lo dovrebbe essere, se non per l’umanità che il lavoro che si è scelto impone, almeno per contratto.

Ho scelto di non citare i nomi dei medici e degli ospedali con cui queste donne sono incappate e ho scelto anche di omettere molti dettagli francamente indegni dei loro ricoveri ospedalieri, ma che il bambino di Claudia, nascendo, non avesse due mani pronte a prenderlo con un gesto di amore e dignità che si deve ai vivi come ai morti è un’immagine che non mi si toglierà mai più dalla testa.

Buona lettura.

Forse non facile, lo so.

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