Affrontare e superare un lutto perinatale: il valore del tempo

by Claudia Ravaldi
igattiballano
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Il 10 Settembre del 2006 sulla vecchia pagina web di CiaoLapo appariva questo: 

Questa è la prima pagina di un percorso di autoriflessione ed aiuto che prende spunto da articoli e pubblicazioni inglesi e americane specifiche sulla perdita perinatale, integrate con spunti di tecniche cognitive comportamentali.Tutto ciò che può servire secondo me va conosciuto, quindi cercherò di riportare quelle riflessioni che siano al tempo stesso riconosciute dagli esperti internazionali e “sperimentate” da altri babbi e mamme” Claudia Ravaldi.

Il mio interlocutore privilegiato, allora come oggi, sono i genitori in lutto, e tutte le persone a vario titolo coinvolte nella gestione delle persone in lutto.

 

Ed è sempre a loro, ai genitori, ai familiari, agli amici e agli operatori, che mi rivolgo oggi in questi articoli, nella speranza di offrire una chiave di lettura del lutto perinatale che possa permettere alle persone di “aprire” quei canali cognitivi, emotivi e comportamentali che portano alla resilienza. 

Per fare questo vedrò più nel dettaglio i singoli paragrafi dei miei primi articoli, prendendomi il tempo per approfondire ogni aspetto fondante dell’esperienza di lutto.

Il tema di oggi è il tempo.

Se rileggo con gli occhi di adesso i miei vecchi articoli rimango molto colpita da quanto dicano della vecchia me e dell’urgenza che sentivo profonda di aumentare ALL’ISTANTE la consapevolezza sul lutto perinatale.

Volevo che tutto migliorasse subito. Volevo che ogni genitore trovasse subito sollievo e conforto. Subito.

Non ero ancora del tutto consapevole del significato del tempo nel lutto, o meglio, non riuscivo a stare in quel tempo, che mi sembrava (e a volte ancora oggi, mi sembra) infinito e inutilmente speso nell’attesa che le cose cambino.

Avrei voluto poter disporre di una bacchetta magica, un fagiolo magico, un dolcetto di Alice nel Paese delle Meraviglie per fare tutto, presto e bene. Per me e per gli altri. Dopotutto, eravamo nel deserto. Non c’era nulla cui appigliarsi, l’enfasi nasceva anche dalla disperazione di sentirsi apolidi in patria.

Rileggendo i miei primi articoli oggi, se dovessi paragonarli ad un alimento, sarebbero senz’altro il wasabi: densi di contenuti, iperconcentrati, e spesso “troppo forti” per essere gustati per intero e a pieno da una persona digiuna di esperienze e conoscenze sul lutto o spaventata dal lutto stesso. 

Mi è occorso molto tempo per capire “l’importanza” del tempo, riconoscere e provare a rispettare le tempistiche del tempo interiore (non sempre corrispondenti a ciò che desideriamo o sentiamo) e dei ritmi del tempo esterno (il tempo sociale, il tempo familiare, il tempo inteso come epoca storica).

Il tempo è un nostro prezioso alleato. Diffidate di chi vi mette fretta, di chi vi vuole reattivi a comando come un qualsiasi jack-in-the-box, di chi vi ruba il tempo proiettandovi in futuri lontani in cui “tutto si sistemerà, credici, a partire da ADESSO”, di chi vi lascia in un tempo indefinito e sospeso, in cui tutto cambia perché nulla cambi “perché questo dolore ci è capitato e non se ne andrà mai” e via discorrendo.

Siate responsabili verso il vostro lutto e verso voi stessi.

 

Take your time.

 

The broken heart time
The broken heart time

Il tempo e il lutto

C’è il tempo prima del lutto e il tempo dopo un lutto. C’è un tempo, indefinito e mal definibile di elaborazione del lutto.

Occorre molto tempo per passare attraverso il dolore.  Tempo in ogni caso ben speso, ce ne voglia quanto ne serve, purché non si tratti di un tempo passivo, sprecato, lasciato andare perchè “Prima o poi succederà qualcosa“.

Si tratta di un tempo vissuto, in tutte le sue molteplici sfumature. 

Passare attraverso richiama la necessità di un viaggio da compiere, di uno spostamento da fare, da un punto, quello in cui ci troviamo quando siamo in lutto, a un altro punto, che ancora non conosciamo ma a cui fisiologicamente, per come siamo strutturati, ognuno di noi tende.

Questo percorso esperienziale si chiama elaborazione del lutto.

Richiede tempo, richiede flessibilità, richiede la capacità dinamica di spostarsi da un punto all’altro.

A volte, gran parte del tempo all’inizio viene impiegato (senza che ne siamo del tutto consapevoli) per “stare” nel punto di partenza del lutto, fermi immobili di fronte a quell’unico fermo immagine che ha così nettamente separato il prima e il dopo.

All’inizio ci sentiamo incapaci di muoverci verso altro che non sia la perdita. Non necessariamente questa fase di stasi deve essere vista come un male. E non dobbiamo neanche pensare che questo tempo apparentemente fermo sia sprecato.

Al contrario, questo tempo di lutto è un investimento: è come una meticolosa preparazione per raggiungere la nostra meta, per preparare i giusti bagagli, scegliere cosa portare durante il viaggio e cosa no.

C’è dunque un tempo per “prendersi un tempo” in cui organizzare la nostra re-azione al lutto e il nostro progetto di elaborazione.

Questo tempo, diverso da persona a persona, ma solitamente non minore di quattro-sei mesi  è un tempo in cui il nostro cervello funziona come un flipper. Ci sono delle fottute palline da non far cadere in dei fottuti buchi. C’è da continuare a vivere le nostre vite, senza inciampare troppo, e perdere troppe palline per strada. C’è da vivere col rumore di fondo tipico di ogni flipper, con mille richiami esterni e interni tra ciò che è stato e il mondo che continua a girare (già solo accettare che accada QUESTO, richiede molto molto tempo), c’è da riparare quella dozzina di molle che sono saltate quando abbiamo perso nostro figlio e che servivano per tenere le nostre palline al sicuro. 

A complicare il tutto, sopra-tutto, il fatto che noi non vorremmo essere flipper.

Noi vorremmo tornare al tempo prima. Quel tempo in cui le cose andavano come dovevano andare.

Questo tempo non ci appartiene più, per il momento. E accettare questo, richiede molto tempo.

Accettare che la nostra vita non stia andando dove doveva andare non è un automatismo cognitivo.

Non possiamo autoconvincerci che “abbiamo accettato”, nè pagare altri perchè accettino al nostro posto.

E qui sta uno dei più grandi inganni della nostra cultura. Pensare che razionalizzare sia elaborare il lutto. Illudersi che suggerire un vademecum e fornire ricette, serva a elaborare velocemente e bene il lutto, a tempo zero o al massimo in pochi mesi.

Chiediamo aiuto per elaborare i nostri lutti quando siamo ancora fermi al fotogramma di partenza. Quando l’unico percorso che riusciamo a immaginare è quello fino al cimitero, e a volte nemmeno quello. Ci vengono proposti, molto spesso fuori tempo, incontri con persone mai viste prima, proprio in quei primi mesi in cui noi siamo ancora a cercare la valigia giusta per il viaggio che non avremmo voluto fare.

Ci sembra molto stravagante e persino fuori luogo che l’agenzia di viaggi in cui eravamo quando tutto è iniziato abbia chiuso le sue porte ed al suo posto ci abbia inviato una guida turistica per un paese sconosciuto, prima di avere deciso dove andare e come viaggiare.

 

Attraversare il lutto è un percorso. Non è una linea retta, è più simile a un labirinto o a una spirale concentrica. A volte si ha l’impressione di non avere mosso un passo, perchè ripassiamo da luoghi già noti. A volte si ha l’impressione di avere camminato mesi e di essere ancora al punto di partenza. Per fare questo lavoro, abbiamo bisogno di buone informazioni un bagaglio leggero e a volte una buona mappa. 

Mai commettere l’errore di prendere scorciatoie: il percorso

del lutto passa attraverso la mancanza, il dolore, lo stupore,

la voglia di ricordare e condividere, bisogna lasciar passare tutte queste cose

e accettare la memoria di quanto ci è capitato.

Imporsi di non pensarci, autocensurare la propria mente, spesso “congela” il lutto,

che è poi destinato a riemergere nel corso del tempo

(in gravidanze successive, o in momenti significativi della vita).

C. Ravaldi 2006

 

Il tempo è un alleato, non un nemico.

 

 

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