Una storia che vale la pena leggere oggi, alla vigilia della giornata mondiale della prematurità.
Sono Marilù, 41 anni (dentro molti di più).
Ho tre figli: Simone (5 anni e 4 mesi), Sara (3 giorni per sempre dal 21 luglio 2013) e Marco (3 mesi e una settimana).
Loro sono i miei tre figli per sempre. Con loro ho conosciuto tante realtà. Simone è nato a 37 settimane con parto indotto, Sara è nata a 36+4 con parto cesareo e Marco è nato con cesareo d’urgenza a 35 settimane per rottura del sacco amniotico.
Simone l’ho portato a casa subito, ma dopo tre giorni sono tornata per l’ittero (ricoverato in semi-intensiva); Sara è stata ricoverata in utin per crisi respiratoria senza avere accanto la sua mamma; Marco è stato ricoverato in utin a 60 chilometri da casa.
Tutti i miei figli hanno lottato, ma Sara mi ha lasciata… Anche lei va ricordata… Marco è stata la mia ri-nascita, il mio arcobaleno dopo la tempesta. Voluto, cercato e desiderato da subito nonostante il dolore immenso, la paura e il cesareo. Ho conosciuto il suo odore dopo 2 settimane, così come lui ha conosciuto il mio odore dopo 2 settimane. Con lui ho conosciuto il mondo dei guerrieri, dei bimbi di cristallo. Già, non sempre la gravidanza si conclude con una navicella che esce con mamma e papà felici… Il mondo dell’UTIN appare surreale sin da subito. Tutto è asettico, tranne l’amore per quei piccoli lottatori. Sai che chi uscirà da lì sarà un leone per sempre. Questi bimbi affrontano la prova più dura: vivere e guadagnare la vita. Accanto a loro ci sono i genitori. Anche loro lottano giorno per giorno. Vivono ogni giorno con la speranza di poter strappare a un destino crudere quei figli tanto attesi. Qui anche le ore valgono tanto… Attraversano quel corridoio ogni volta cercando il loro leone. E quando vanno via, lasciano il cuore in quello stesso corridoio … Sperano e aspettano il giorno in cui torneranno a casa con il loro bimbo. Aspettano e soerano di tornare finalmente con le braccia piene…
Quando entri sai già, comunque vadano le cose, che ne uscirai diversa…
La prima cosa che fai è indossare calzari e mascherina. Attraversi il corridoio, dando uno sguardo alla culla del tuo guerriero.
Entri in una stanza, indossi il camice verde e ti lavi ACCURATAMENTE le mani.
Sono le cose che fanno i genitori dei piccoli prematuri prima di andare dai loro piccoli.
Gesti che sono ESSENZIALI perché la vita, qui, è labile.
Ora si è pronti ad incontrare i nostri piccoli.
Ed ecco, il mondo fatto di luci, cateteri, sondini, allarmi, sensori pronti a captare qualunque cosa “anomala”, macchine per infusione di latte o di medicinali.
Ti avvicini all’incubatrice, apri delicatamente i due oblò e infili le mani. Cerchi di stabilire un contatto con quel figlio che non puoi abbracciare, cullare e allattare al seno.
Attraverso la mascherina cerchi di fargli sentire la tua voce, ma ti accorgi che è ovattata, diversa dalla tua… Non puoi gridare più forte, c’è soprattutto silenzio perché si possano sentire i vari suoni. Accarezzi delicatamente quel bimbo che hai desiderato. Vorresti prendere su di te le sue sofferenze. Quegli aghi conficcati nella sua pelle ti trafiggono il cuore.
Sei nella condizione che non puoi fare niente. Devi solo ASPETTARE e SPERARE.
Guardi anche gli altri guerrieri e tifi anche per loro… Lì sono tutti fratelli…
Scatta un allarme e speri che non sia quello di tuo figlio… No, è solo il latte che è finito…
Vivi nella paura che possa succedere qualcosa da un momento all’altro…
Mezz’ora è poca, passa in fretta. Vorresti rimanere ancora, ma l’infermiera non lo permette.
Solo quattro volte al giorno…
Un’ultima carezza… A domani, figlio mio!
Vai nella stanza, togli il camice e attraversi il corridoio. Un’ultima occhiata al tuo guerriero…
Passi dal neonatologo. Ti parla di grammi, saturazione e di eventuali progressi. Cerchi di capire quanto tempo dovrai attendere prima di portarlo finalmente a casa. E anche quando vedi altre mamme che escono finalmente da quel mondo surreale per vivere la realtà, gioisci per loro perché prima o poi, forse, uscirai anche tu.
Esci, torni a casa, ma solo fisicamente…
Speri di non ricevere telefonate…
Speri di rivederlo presto…
Speri di uscire a braccia piene…
Speri, speri, speri, speri, speri…
Marco, 35 settimane, kg 2,560, due settimane in UTIN…
Sara, 36+4 settimane, kg 2,510, due giorni in utin. E poi la telefonata “Non ce l’ha fatta!”… Anche lei ha lottato. Anche lei è stata una guerriera. Anche lei va ricordata, con tutto l’amore che ho.