“Siamo usciti dal reparto di neonatologia a braccia vuote, disperati, senza futuro e senza supporto, soli, con un vuoto immenso dentro.”
Le braccia vuote fanno male.
Esiste persino una sindrome, chiamata “la sindrome delle braccia vuote” nella quale le donne, a qualche ora dal parto di un bambino che non possono tenere in braccio, avvertono dolorosi e fastidiosi sintomi (da spasmi a formicolii, da crampi a parestesie le più varie): che me ne faccio di un paio di braccia vuote, dicevo, io, il 14 Marzo del 2006, che me le sarei strappate quelle braccia inutili. Ancora nemmeno lo sapevo che quei dolori alle braccia avevano un nome. Ancora nemmeno lo sapevo che ero un genitore in lutto. Non c’era stato tempo, di affrontare l’argomento. In ospedale si era parlato infatti di figli futuri, di gravidanze future, di riprovare presto. Non c’era stato tempo, non c’era stato lo spazio mentale nè dei singoli, nè dell’intera equipe, per offrirci lo spazio di comprendere ciò che stava accadendo nel qui ed ora. Stava accadendo che avevo partorito a termine un bambino morto. Stava accadendo che il mio corpo procedeva come da copione per prendersi cura del bambino, che non c’era, e segnalava impaziente il cambio di rotta. Stava accadendo che ci parlavano di futuro, ma noi non riuscivamo a vedere nemmeno il giorno successivo, perchè eravamo fermi. Nel vuoto del lutto.
A distanza di anni, capita ancora, capita ancora troppo spesso, che i genitori ci raccontino le stesse esatte sensazioni e le stesse esatte dinamiche; le braccia vuote la disperazione, la sensazione di mancanza di prospettiva e di futuro, l’assenza di supporto, la solitudine, il vuoto che ti si mangia da dentro.
Eppure, basta davvero poco.
Si potrebbe cominciare dall’offrire uno spazio mentale, ancor prima che fisico, ad ogni genitore in lutto. Uno spazio che sia opportunità di ascolto, riflessione e anche contenitore di un’angoscia apparentemente ingovernabile.
Un buon operatore quando vede che ti stai perdendo, ti mostra la via per il ritorno a casa.
Un buon operatore conosce le strade che i genitori in lutto percorrono e al momento giusto, sa dare le giuste indicazioni stradali.
Un passo dopo l’altro.
Grazie ai buoni operatori che conosco.
Grazie a quelli che studiano le mappe e ne imparano sempre di nuove.
Grazie a chi riesce a non perdersi, nonostante non riceva alcuna indicazione.