Il lutto perinatale è sempre un argomento emotivamente complesso; quando riguarda una coppia che ha alle spalle una storia di infertilità e relativi trattamenti, il lutto perinatale può diventare molto difficile da affrontare ed elaborare: lutti diversi vengono infatti a confluire nella biografia della coppia, rendendo molto gravoso il percorso di elaborazione e favorendo l’insorgenza di lutto complicato.
“C’è troppo lutto là dove dovrebbe esserci attesa, e nascita, nella mia vita”: queste le parole di una paziente con una lunga storia di infertilità e un recente lutto perinatale durante le nostre prime sedute: “C’è troppo dolore, che arriva sopra un dolore ingombrante (l’infertilità) proprio quando pensavamo di poter archiviare tutte le sofferenze e iniziare ad essere “felici come gli altri”, come quelli che non sanno, non hanno idea, beati loro. Invece per noi, ancora dolore”.
Riflettere sulla perdita perinatale dopo una diagnosi di infertilità e un percorso di procreazione assistita è urgente, e non più differibile, dal momento che soltanto una donna infertile su quattro sottoposta a PMA partorisce un neonato sano, secondo gli ultimi dati ISTAT.
Questo significa che le altre tre donne/coppie resteranno con buona probabilità senza alcun figlio vivo.
Questo significa che almeno due di loro perderanno uno o più figli (durante le diverse età gestazionali, soprattutto in fase embrionale e fetale) durante i vari tentativi.
L’infertilità, nella nostra cultura, è da sempre un tabù. Il divampare delle tecniche di PMA ha in parte ridimensionato la “percezione” del tabù: adesso sembra sempre possibile avere un figlio, anche in tardissima età, basta “provare”. Se prima di infertilità non se ne parlava in quanto tabù radicato nella nostra cultura, adesso di infertilità non si parla in quanto “non problema“: “abbiamo trovato delle soluzioni, grazie ai prodigi della tecnica, e possiamo sempre “riparare” con un’adozione, e fare anche del bene a un bambino bisognoso, nel caso qualcosa vada storto. Bisogna essere ottimisti, e non fasciarsi troppo la testa!”.
Il risultato è che oggi, 2017, le donne/coppie infertili, non trovano spazio d’ascolto, per narrarsi, per confrontarsi, per riflettere a voce alta sugli effetti dell’infertilità sulla loro vita, sulla loro identità, su loro stesse. Con conseguenze spesso devastanti sul loro benessere psichico, fisico e biopsicosociale.
Queste donne e i loro lutti dovrebbero poter essere pensate con attenzione e rispetto, da parte dei curanti, ma non solo. I loro percorsi tortuosi, talvolta drammatici, talvolta in-finiti, necessitano di un sostegno strada facendo, ma anche di un “lavoro” più approfondito e profondo, su loro stesse e sulla loro identità, di donne, di madri alla ricerca di figli che non arrivano, che se ne sono andati, che (forse) non arriveranno (più).
Il lutto peri-natale, ossia intorno alla procreazione, gravidanza, nascita che avviene dentro il lutto dell’infertilità è una spaventosa matrioska di dolori.
Là dove è enorme il bisogno di buone cure ed alta la disperazione è necessario che i curanti sappiano quale spazio occupare, sappiano essere accanto e farsi contenitore dell’angoscia di morte e delle faticose trasformazioni che tutti i lutti, e questi a maggior ragione, richiedono.
Non necessariamente i due lutti convergono: spesso il lutto legato all’infertilità e al fallimento delle tecniche di PMA è così furibondo da “oscurare” in modo transitorio la perdita dell’embrione/feto/neonato. Spesso l’urgenza di familiari, medici, amici, unita all’urgenza mediatica del “figlio a tutti i costi”, hanno la meglio sulla perdita del bambino gestato, generato e poi venuto a mancare. In questi lutti tutti concordano sull'”assenza di tempo“, sulla necessità di “fare presto”: in questa cornice, il lutto del bambino procreato e poi perso, spesso non può avere il giusto tempo. Il dolore della perdita perinatale è un dolore di beta negative, o di sangue che annuncia la morte, di battiti flebili o assenti, di malattie del feto o della madre. Il dolore della perdita perinatale ha tutta un’altra serie di dinamiche rispetto al dolore legato all’infertilità, e va a insistere su alcune tematiche comuni (la colpa, l’incapacità, l’impotenza). Il lutto nel lutto diventa un mostro famelico, che si nutre della paura di non farcela, del corpo vessato dalle tecniche, di quelle fantasie incarnate, per poco e comunque per sempre, che non sembrano meritare domicilio, tanto è forte l’urgenza di “andare avanti”.
Andare avanti.
Andare dove?
Chiunque ci sia passato in prima persona sa quanto necessario sia ricevere un aiuto adeguato per ciascuna parte di questo doppio lutto e quanto sia importante poter ricevere aiuto su più livelli: professionale medico, professionale psicologico, professionale ostetrico, sociale e familiare.
Chiunque abbia attraversato anni di lutto legati a una diagnosi di infertilità e poi si trovi a fare i conti con la perdita di uno o più figli (come vedremo, indipendentemente dall’epoca gestazionale della perdita o dalle cause) sa quanto questo doppio lutto possa disintegrare la propria identità come individuo, come coppia e come genitore.
“Semino amore e nasce morte” mi ha gridato un pomeriggio una paziente con una lunga e dolorosa storia di infertilità e di perdite ripetute, prima di comunicarmi il risultato negativo delle sue ‘beta’.
Il “lutto alla seconda” merita una cura speciale.
Le coppie di “quasi genitori” come li chiamano i rotocalchi femminili, che perdono i loro figli-embrione o figli-feto o figli-neonato, sono come Persefone alle soglie della primavera costretta per un capriccio di Ade a tornare sottoterra per altri sei mesi.
Le coppie restano attonite in un limbo di esami, prove, ricerche, parole, percorsi, farmaci. In questo limbo è necessaria una cura.
Il lutto sopra il lutto annichilisce le più grandi speranze, perché annulla il futuro quando sembrava essere un po’ più presente, un po’ più possibile, un po’ meno sogno.
Un po’ più realtà.
Lo sanno bene i genitori che ho incontrato negli anni di lavoro con CiaoLapo.
Li chiamo, chiedendo loro il permesso, genitori, quasi fin da subito, senza remora alcuna.
La maggior parte di loro, sentendosi chiamare genitori, e sentendomi chiedere conto delle perdite dei loro figli in quanto tali, si rilassa sulla sedia e accenna uno sguardo tra l’incredulo e il riconoscente.
Potrebbe non essere così intuitivo, ma nella mente delle donne e delle coppie alle prese con l’infertilità prima e poi con i tentativi per procreare un figlio, c’è già un ampio spazio per la genitorialità e un profondo desiderio. Se associamo questi elementi all’impegno psichico, fisico, morale e materiale per concepire un figlio, la cura perché ciò accada e le settimane passate nell’attesa che il figlio arrivi, e poi resti, ecco che ci troviamo di fronte a coppie che agiscono vere e proprie cure parentali, con la mente non più e non solo “da coppia”, ma da “coppia in attesa”. Da coppia genitoriale, che da diade ha preparato lo spazio per divenire triade e sogna quel figlio come mai ha sognato nient’altro.
Si può dunque essere genitori “senza figli”? Si può sentirsi genitori investendo un gran pezzo della propria vita in questa impresa pro-creativa, anche se i figli non sono arrivati e non arriveranno, o sono arrivati ma non sono rimasti? Nel mondo anglosassone, da qualche anno, sono diffusi gruppi di sostegno per le cosiddette “stillmothers”: madri che hanno perso i loro figli durante la gravidanza o dopo la nascita e che per un motivo o per l’altro non hanno accanto a loro figli vivi. Le stillmothers infrangono un tabù molto diffuso, quello dell’omertà intorno alle coppie senza figli “visibili”, e un altro tabù ancora più diffuso: l’omertà sui “non nati” e sui “nati morti”, che tutti vorrebbero far scivolare in un eterno oblio. Tutti, tranne la stragrande maggioranza di chi ha vissuto in prima persona l’esperienza e in cuor suo sa cosa significa affrontare il percorso di attesa e di perdita.
La cura del lutto perinatale che segue il lutto legato all’infertilità costringe i curanti, i familiari e gli amici ad uno sforzo emotivo di grande portata. Anche se la nostra cultura è povera di strumenti condivisi per affrontare questi temi così complessi e dolorosi, anche se sono pochi gli studi dedicati al sostegno delle coppie infertili e delle coppie infertili colpite da lutto (“Ma l’aborto spontaneo non è un lutto!!!”, pensano ancora, purtroppo, molti curanti che hanno in cura le coppie infertili), anche se il tabù è ancora saldo e le coppie infertili vengono poco seguite, specialmente dopo una perdita, qualcosa sta lentamente cambiando anche nel nostro paese. Dopo dieci anni di lotte con la stampa e con gli operatori, ad esempio, grazie ai genitori e agli operatori di CiaoLapo abbiamo cominciato a parlare dell’aborto precoce definendolo chiaramente un evento luttuoso (come già codificato in altri paesi e in numerosi studi), e finalmente si comincia a ritenere appropriata (e non bizzarra) la sofferenza dopo la perdita di un embrione o di un feto.
Tra qualche anno anche nel nostro paese potremo forse permettere alle coppie infertili che subiscono un lutto perinatale di definirsi genitori in lutto, se lo desiderano, e di poter elaborare la perdita dei loro bambini. Bambini che loro, peraltro unici tra tutti i genitori, hanno potuto vedere fin da subito, fin dall’inizio del loro percorso vitale.
Prima fuori, e poi dentro, in un rovesciamento di prospettive che molto dovrebbe farci riflettere sul processo di genitorialità e su quanto sia potenzialmente controproducente sminuirne il senso e la portata, ridimensionando tutto a “tentativo”.
Le coppie sanno cosa stanno facendo e perché. Il progetto è chiaro: desiderano un figlio, a costo di percorsi fisici, psichici ed emotivi molto dolorosi. Quando si arriva all’impianto, le coppie sanno, che quello è l’inizio di un bambino. Del loro bambino, quello per cui si sono messi in gioco rivoluzionando tutto. Risulta piuttosto chiaro che la posta in gioco sia assai alta, che la genitorialità sia già in rampa di lancio e che la “perdita” non possa né debba essere sminuita o banalizzata. Anche nel caso in cui i genitori, angosciati dalla possibilità di restare “senza figli”, si impongano di vivere questo evento come routinario e propongano di procedere, zelanti. Varrebbe la pena offrire uno spazio per ridefinire questa perdita, affinché l’evento non si trasformi in un trauma congelato, in un lutto irrisolto, destinato a ripresentarsi con una nuova gravidanza o con una nuova genitorialità.
La perdita di un figlio atteso durante la gravidanza o dopo la nascita è un evento che gli studiosi che si occupano di psicologia perinatale e di traumatologia considerano da tempo un lutto traumatico. Da qualche anno insieme ad altri autori abbiamo iniziato a parlare di “lutto perinatale” per definire e descrivere questo tipo di evento, indipendentemente dall’epoca gestazionale in cui avviene, notando come gli effetti sulle persone colpite da perdite peri-natali anche molto diverse tra loro siano peculiari rispetto ad altri lutti e in gran parte sovrapponibili tra loro.
Cambiano alcune caratteristiche fisiche, cambiano alcune modalità relazionali con il bambino perso, ma non cambiano le caratteristiche del lutto, ampiamente esplorate da vari autori.
A partire dagli anni settanta del secolo scorso molti studi hanno affrontato questo tema in modo multidisciplinare e transculturale, sottolineando come le caratteristiche tipiche della perdita peri-natale (intorno alla nascita, quindi in senso esteso durante tutta la gravidanza e dopo il parto) si sovrappongano a quelle di altri lutti improvvisi, e abbiano un decorso simile.
Il lutto perinatale è un lutto traumatico perché si verifica in modo improvviso, inaspettato e violento: è connesso alla perdita di una persona cara e si associa a peculiari caratteristiche, di espressione e di decorso.
La perdita di un figlio durante la gravidanza o dopo la nascita è un vero e proprio lutto traumatico, e come tale dovrebbe essere inquadrato ed affrontato. Anche dopo un percorso di procreazione medicalmente assistita, la perdita di un embrione o di un feto sono lutti perinatali, traumatici e dolorosi, e non possono essere derubricati a “rischio atteso”.
Dopo una perdita perinatale la coppia sperimenta emozioni, sensazioni e pensieri tipici dello stato post traumatico, dello shock e del lutto. Questo si ritrova anche immediatamente dopo avere ricevuto una diagnosi infausta. La diagnosi di infertilità rientra in questo ambito, ed è associata ad uno stato post-traumatico. Dopo la diagnosi di infertilità, dopo il percorso intrapreso per poter procreare, il bambino atteso muore, a un certo punto del percorso. Due traumi, due lutti.
Bisogna anche considerare che le caratteristiche intrinseche del lutto perinatale (la perdita di un “oggetto d‘amore” non ancora completamente conosciuto, spesso mai incontrato in vita) e la sua peculiarità esistenziale (la morte contro-natura, del figlio, che precede la morte del genitore) fanno sì che questo evento abbia di per sé un elevato rischio di trasformarsi in lutto complicato.
Per lutto complicato si intende un lutto che a un certo punto del percorso si congela: la fisiologica e faticosa elaborazione si blocca, e il lutto resta come immutato nel tempo. Quando il lutto si congela, le persone afflitte tentano di tornare a una vita apparentemente normale, spesso riuscendoci, mettendo il lutto come “da parte”, finché la vita stessa, nel suo svolgersi, o altri eventi non fanno riaffiorare il lutto, costringendo il dolente a farsi nuovamente carico della sua elaborazione, ricominciando quasi da capo.
Il congelamento del lutto non è l’unico modo in cui un lutto fisiologico può complicarsi.
C’è infatti un altra, temibile, complicanza, l’esordio di un disturbo psichico o psicofisico a pochi mesi dal lutto. Il rischio di complicanze dopo un lutto peri-natale è purtroppo molto alto, perché ancora oggi molte donne e molte coppie sono lasciate sprovviste di qualsiasi tipo di supporto post-traumatico.
Se il lutto non viene adeguatamente affrontato, in un terzo dei casi è possibile fare diagnosi di disturbi ansiosi e depressivi.
Inoltre, il tasso di depressione post partum è doppio rispetto alla popolazione generale.
Perdere un figlio desiderato e atteso quindi, indipendentemente dalle cause e dalla prossimità al parto è un evento che ha gravi e profonde ripercussioni nella biografia della donna e della coppia, perché interrompe un filo progettuale (l’arrivo di un nuovo membro della famiglia) e relazionale (l’arrivo di quel bambino specifico, quello, e non un altro, col quale i genitori stabiliscono una relazione unica e insostituibile).
Questo lutto ha dunque caratteristiche specifiche rispetto ad altri tipi di lutti (su tutti, quella di avvenire molto spesso nel corpo della gestante, o a seguito di patologie acute e non preventivabili), anche perché avviene in un delicato momento di passaggio e di trasformazione della donna e della coppia, quale è la gravidanza.
Alcuni autori sostengono inoltre che il lutto perinatale sia particolarmente difficile da elaborare nella prima metà della gravidanza, in assenza cioè di un tempo (condiviso), di uno spazio (la pancia che cresce) di una reciprocità (i calcetti del nascituro). L’assenza di “impronte” sensoriali del bambino perso, l’assenza di un tempo sufficiente per poterselo rappresentare e per poterne ridefinire i confini come “altro-da sé”, il suo arrivo in silenzio e la sua rapida dipartita dentro e attraverso il corpo della madre sono ritenuti elementi di profondo stress per la donna e per il partner: il figlio resta sognato, appena abbozzato nella carne, sospeso per sempre.
Aiutare la coppia a prendere commiato da questo bambino, e dalla sua gravidanza sembrerebbe dunque un aspetto centrale per preservare la loro salute e attivare la loro resilienza: tuttavia, nel nostro paese, la perdita della prima metà della gravidanza è ancora argomento negletto, e spesso banalizzato come “cose che capitano”.
Sulla psicologia dell’infertilità si è scritto molto, soprattutto relativamente al momento zero, quello della diagnosi. Su cosa accade dopo, sul susseguirsi di azioni e di tentativi di riparazione, cura e superamento del problema, pochissimi scrivono, raramente ci si spinge oltre ad una generica indicazione di “sostegno psicologico”.
Rarissimi sono i contributi, gli studi e i testi che affrontano l’evenienza, tutt’altro che rara del “lutto nel lutto”.
Su questo argomento, orrifico e angosciante, la letteratura scientifica è estremamente povera di contenuti. Questo fa sì che gli operatori, posti di fronte al fallimento della procreazione medicalmente assistita e alla perdita, dell’embrione, del feto o del neonato, non siano sufficientemente formati per contenere l’angoscia che scaturisce da una serie di lutti compositi e complessi, spesso irrisolti.
Ciò comporta che le coppie difficilmente ricevano un adeguato supporto per affrontare, e possibilmente risolvere, il lutto indicibile, quello che arriva dopo le cosiddette “gravidanze preziose”: se non posso rappresentarmi un evento, che rimane confinato nell’indicibile, difficilmente potrò aiutare chi ne è colpito a renderlo dicibile, e dunque elaborabile.
Il silenzio negante, la spinta a riprovare, quando è possibile, o a adottare, se i tentativi a disposizione sono terminati, è tutto ciò che viene offerto a molte coppie, che poi arrivano da noi, a CiaoLapo, vessate da lutti decennali eppure intonsi.
Da ormai dieci anni mi occupo di donne, coppie e famiglie colpite da lutto prenatale e perinatale: ho potuto ascoltare nella stanza della terapia storie di tutti i tipi.
La mia stanza, quella reale e quella virtuale rappresentata dal forum di automutuoaiuto facilitato sul sito di CiaoLapo hanno offerto uno spazio a molte coppie colpite da uno o più lutti perinatali dopo una diagnosi di infertilità. Spesso dopo anni di trattamenti.
Coppie rese mute dalla mole di lutti stratificati nel tempo sulle loro spalle.
Coppie sofferenti, abbandonate sovente nei loro percorsi alla ricerca del figlio. Spesso tacitamente commiserate, prima, durante e dopo.
In un recente laboratorio narrativo con le donne e le operatrici sul tema dell’infertilità sono emerse molte parole significative, nelle trame di molte storie diverse. Sono voce libera e testimonianza. Se accolte, se ascoltate, possono essere cura. Lo spazio per dirlo, a volte, è l’unica vera cura possibile.
Approfondimenti
- Ravaldi C., et al. Aspetti psicologici della morte intrauterina. Ricerca, esperienze e protocolli di intervento. Psicobiettivo, 2009 fascicolo 3
- Ravaldi C., Piccoli Principi. Perdere un bambino in gravidanza o dopo il parto. Officina Grafica Editoriale, 2014
- Ravaldi C., Vannacci A., Risvolti psicologici nella morte perinatale in gravidanza e contesti psicopatologici dalla teoria agli strumenti di intervento a cura di PL Righetti, Franco Angeli Editore, 2010
- Ravaldi C., La morte in-attesa assistenza e sostegno psicologico nel lutto in gravidanza e dopo il parto Ipertesto Edizioni, 2012
- Ravaldi C., et al., Assistere la morte perinatale in Italia Toscana Medica luglio-agosto 2013
- Ravaldi C. Il sogno infranto affrontare il lutto perinatale una guida da genitore a genitore, Ipertesto Edizioni, 2013
- Ravaldi C., Vannacci A., La morte perinatale: aspetti psicologici del lutto e strumenti di intervento in Nascita e Lutto Rivista sperimentale di freniatria, 3 2014
- Ravaldi C., Quando l’attesa è per sempre: i genitori colpiti da lutto perinatale in Il dolore alle soglie della vita di Aite Lucia, Bollati Boringhieri 2017.