“Caro mio, lei adesso deve essere forte!” accompagnato da una calorosa stretta di mano e uno sguardo di intesa ammiccando verso la compagna che tra le lacrime accarezza quella pancia senza battito. Comincia così la storia di uno e di tanti padri in lutto che ho conosciuto.
Comincia e continua, mentre il papà si ripete di dover essere forte, quando torna a casa la prima volta e deve trovare le cose per vestire il bambino, quando deve contattatare l’agenzia funebre, quando viene chiamato d’urgenza perchè le condizioni della compagna sono critiche, quando tutti non capiscono cosa stia succedendo e chiamano, chiamano di continuo per ricordargli di resistere per entrambi, quando lei piange e si dispera, quando vede una carrozzina, quando le notti insonni piene e vuote di pensieri si susseguono, quando rientra a lavoro due giorni dopo il funerale del figlio e non sa neanche come ha fatto ad arrivare fin lì, quando gli amici lo guardano con pena e poi la buttano in caciara facendo una stupida battuta sul calcio.
Alla fine si arrende e se anche ha la morte nel cuore sorride, per non deludere, per tranquillizzare, per credere almeno un pochino di essere “uomo” come gli è stato prescritto dai medici e ancor prima dalla famiglia, dalla scuola, dalla società in generale. Gli uomini devono essere duri, quindi non soffrono, tantomeno piangono, tuttalpiù sostengono con pazienza.
“Sono forte”, si ripete quell’uomo come un mantra, tutto il giorno, tutti i giorni, ma è stanco, arrabbiato, deluso, triste, disperato e si sente solo a fare i conti con se stesso, con i suoi sogni svaniti in un’ecografia, con il suo cognome scritto su una piccola targhetta, solo con la sua forza.
Chi gli sta intorno (la famiglia, la compagna, gli amici…) lo sa che sta soffrendo, ma è come se il suo dolore fosse inaccessibile per tutti e per primo per lui.
Come professionisti della salute, dovremmo cominciare a dirlo, che quel cromosoma Y non deve reggere il mondo sulle sue spalle, soprattutto quando ce la fa a malapena e con ragione a reggere se stesso. Perchè un padre che ha appena perso un figlio ha tutto il diritto di sentirsi così, ma non lo sa perchè nessuno glielo ha riconosciuto, negandogli così la chiave per accedervi.
Portare un macigno sul cuore non è facile, ma portare un macigno che nessuno riesce a vedere può diventare insostenibile. Le gravi ripercussioni sia a livello individuale che nella coppia e più in generale nella famiglia sono evidenti nella pratica clinica e gli studi lo confermano da molto tempo. E’ ormai noto infatti che si riscontra una maggior incidenza di disturbi fisici e psicologici nelle persone che non hanno ricevuto una buona qualità di assistenza a seguito di un trauma.
E congedare un uomo che ha appena perso un figlio con una pacca sulla spalla, o giù di lì, non può essere considerata una buona qualità di assistenza.
Potremmo cominciare dalla base, vedendo quel macigno e dandogli un peso specifico che può essere condiviso, considerando questi uomini abbastanza forti da non dover ignorare il loro dolore per sopravvivere, dando loro la dignità di essere quello che sono e trattandoli di conseguenza come uomini e padri in lutto.
Dott.ssa Letizia Giorgini, psicologa psicoterapeuta, CiaoLapo Toscana
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