Aborto entro i 180 giorni e congedo.
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In occasione del mese della consapevolezza sulla perdita in gravidanza e dopo la nascita desideriamo portare a conoscenza di tutti un tema che crea ogni anno grande sofferenza a migliaia di donne lavoratrici che, a seguito dell’interruzione della loro gravidanza, non possono contare su nessun congedo dal lavoro.
In questa breve intervista, la dottoressa Camilla Fasciolo, avvocato, ci chiarisce quali sono i diritti in caso di aborto e morte perinatale ad oggi nel nostro paese.
Congedo: chi ne ha diritto?
“Il Testo Unico in materia (D Lgs 151/2001) considera l’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, a tutti gli effetti una malattia.”
Congedo e madri
“Qualora l’aborto avvenga prima del 180 giorno di gestazione, si avrà esclusivamente diritto al congedo per malattia (e relativa indennità).” (La durata di detto congedo è variabile tra 7 e 14 giorni ed è gestita con il proprio medico di medicina generale)
Qualora invece avvenga dopo i 180 giorni dall’inizio della gestazione, il Testo Unico riconosce il congedo di tre mesi, con la relativa indennità.
Per le libere professioniste o lavoratrici autonome è previsto con gli stessi requisiti se iscritte ad INPS, mentre se iscritte a casse private dipende dal singolo ente (ad esempio, una la prevede già dal terzo mese, un’altra solo se verificatosi tra il terzo e sesto mese).
Congedo e padri
“Dal marzo 2021 è stato riconosciuto un congedo di dieci giorni anche ai papà, sempre e solo qualora l’interruzione avvenga oltre il 180mo giorno.”
Concludendo
“Ancora oggi, anno 2021 non è prevista alcuna forma di indennità specifica per chi si ritrovi a perdere o interrompere una gravidanza.”
Nel ringraziare l’avvocatessa Fasciolo per avere risposto alle nostre domande, aggiungo una mia riflessione da professionista della salute mentale e da attivista per i diritti umani: sappiamo bene che in altri paesi più avanzati la legge riconosce una forma di congedo a partire dalla ventesima settimana (e non, come da noi, dalla 25 più 5).
Sappiamo anche che molte madri lavoratrici, impegnate nei servizi per l’infanzia e nelle cure perinatali non ricevono alcun tipo di sostegno, legato alla particolarità del loro lavoro (penso ad esempio a educatrici di nido, maestre di primaria, ostetriche, neonatologhe, pediatre, ginecologhe, puericultrici, psicomotriciste etc).
Abbiamo negli anni ricevuto numerose testimonianze da parte di donne costrette a rientrare al lavoro subito “perché in fondo non ti è successo niente di che” o altre che per restare a casa un paio di settimane in più hanno avuto come unica opzione quella di ricevere la diagnosi di depressione reattiva.
Il lutto dopo un aborto non è una depressione reattiva, ma il nostro Stato purtroppo non lo riconosce per ciò che è nella realtà: un evento traumatico che colpisce il corpo e la mente e necessita di un tempo per essere affrontato e permettere a chi lo subisce di tornare a svolgere una routine simile a prima della perdita.
Per ben due legislature, prima della pandemia, abbiamo proposto di estendere almeno un mese di congedo a partire dalla ventesima settimana: questo permetterebbe intanto di trascorrere il primo mese, quello nel quale il corpo è in convalescenza, senza forzature o pressioni esterne. Purtroppo non è mai stata trovata la copertura.
Spero che in un prossimo futuro anche il nostro paese abbassi la definizione di morte in utero almeno alla 22 settimana, come raccomandato da OMS, garantendo quindi a circa 1000 donne in più ogni anno l’indennità corrispondente.
Fatto questo passaggio, spero che resti spazio per estendere la copertura almeno alla ventesima settimana.
I primi 40 giorni dopo il lutto sono pesantissimi dal punto di vista psico-fisico.
Tutelare le donne in quei 40 giorni permetterebbe loro di ridurre il rischio di complicanze a medio e lungo termine, soprattutto di tipo ansioso e depressivo, con un notevole risparmio in termini di giorni di lavoro persi in futuro.