Quando un bambino nasce troppo presto o con una patologia importante intorno a lui e alla sua famiglia si radunano molte figure professionali, chiamate a cercare di tendere bene quel filo leggero di vita e proteggerlo, affinché non si spezzi troppo presto.
Il compito di queste persone, che hanno scelto di lavorare come operatori sanitari al servizio dei piccolissimi, è un compito di confine: aiutare quelle vite piccole a sbocciare, aiutare quelle famiglie a resistere all’angoscia e all’ignoto. Non ultimo, aiutare loro stessi e tutto lo staff a tessere trame di possibilità, di speranza e di sapienza, anche quando i fili sono molto fragili e le vite troppo piccole.
A questo compito, che si radica nel nostro immaginario vicino al mito perché va a toccare vita e morte nella loro complessità, nessuno ci prepara durante il corso di laurea, o nelle specializzazioni: perché la preparazione a tenere i fili il più possibile, ma anche a saperli lasciare andare con tenerezza, quando non è possibile fare altrimenti, si impara lungo tutta una vita. A volte, tutta la vita professionale non basta.
Ogni anno sono migliaia i bambini che nascono fragili; una percentuale non trascurabile di questi bambini non sopravvive.
Nelle terapie intensive neonatali e nelle patologie neonatali ogni giorno gli operatori si affacciano con i loro strumenti tecnici e la loro umanità su queste vite fragili e incontrano gli occhi delle madri e dei padri che chiamano, come possono, i loro figli alla vita; madri e padri che tessono fili di parole, di pensieri, di ninne nanne, di letture, di pelle, di latte.
Ce la mettono tutta.
Ce la mettete tutta.
Operatori, famiglie, neonati fragili, tendono il filo giorno dopo giorno.
Lo fanno sentendosi spesso molto soli, molto tesi, molto spaventati e incerti su cosa accadrà e molto legati, l’un l’altro. Impossibile vivere l’esperienza di tendere il filo della vita senza sentirsi legati, senza creare legami, senza portarsi nel cuore un pezzettino ciascuno di quei bambini e di quelle storie.
Purtroppo molte di queste storie, fuori dal reparto, non sono dicibili. Non trovano spazio. Non tutte le storie hanno posto, nella nostra società. Le storie che “vanno a finire male” non sono degne.
Nemmeno se dentro c’è così tanto amore che basterebbe per campare cent’anni.
Il lavoro sul confine, quello che si svolge intorno a fragilità, limite, rischio, è difficile da raccontare perché è difficile, angosciante e doloroso da ascoltare per chi non ha vissuto l’esperienza e pensa di salvarsi dall’angoscia di morte girando la faccia dall’altra parte; la morte del neonato e l’accompagnamento al fine vita sono eventi che la nostra società non vuole contemplare.
Questa indifferenza ha molte ricadute sia sul piano pratico (elaborazione del lutto e del trauma, miglioramento dei servizi per famiglie e operatori) che sul piano teorico (promuovere la ricerca e studiare i fenomeni); il lutto perinatale, espropriato di uno spazio di narrazione e di ricerca, rimane un tabù. E chi ci si confronta, per lavoro o per biografia, fa ogni volta ciò che può, ciò che ha imparato a fare o ciò che crede più utile “in casi come questi”.
Dopo avere esplorato le ricadute dell’assistenza alla morte in utero sugli operatori con lo studio Blossom, che verrà pubblicato tra pochi giorni in una rivista di ostetricia in open access, desideriamo adesso affrontare con analoga metodologia la morte perinatale con lo studio STRONG.
Promosso dal Laboratorio congiunto di Ricerca Perinatale (PeaRL) dell’Università degli Studi di Firenze (resp. Prof A. Vannacci), costituito dal Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino e dalla Fondazione CiaoLapo ETS, (dott.ssa Claudia Ravaldi), STRONG è una ricerca sul benessere degli operatori perinatali. In particolare stiamo studiando l’impatto delle cattive notizie sul benessere dei medici, degli infermieri e di tutti gli operatori sanitari, i tirocinanti e i volontari occupati quotidianamente nell’assistenza al neonato ricoverato e nella relazione con i suoi genitori.
Lo studio ha ricevuto la approvazione della Commissione Etica per la Ricerca di Ateneo
dell’Università degli Studi di Firenze, n. 127 del 18 NOVEMBRE 2020 (Prot 0233044 del 21/12/20).
Per partecipare allo studio accedi da questo link.