Arriverà un altro quindici ottobre. Il settimo per me, il primo per molti genitori, una data come un’altra per chi non conosce la realtà del lutto in gravidanza e dopo la nascita.
Una data, un giorno, 24 ore. Che senso ha “celebrarla”? Che senso ha ricordare tutti insieme in tutto il mondo i nostri figli fisicamente lontani e conosciuti per un soffio, ma ad oggi amati come e più del primo giorno? Che senso ha rischiare di soffrire, riaprendo le nostre ferite traboccanti di affetto? E ancora, ha senso “intristire” o “spaventare” chi non sa? Ha senso esporsi al mondo come “genitori in lutto”? O sarebbe meglio tacere, chiudersi, sforzandosi di dimenticare il 15 ottobre, il suo significato, l’onda di luce e tutto quanto?
Il primo quindici ottobre in Italia, con la febbrile spregiudicatezza del lutto così fresco da essere vivo, io e altre quattro mamme (c’è ancora la foto da qualche parte nel sito) ci siamo incontrate a Firenze, a Piazzale Michelangelo, col cuore appeso letteralmente al filo di 10 palloncini. Quel filo sospeso, le mani aggrappate nella disperata voglia di stringere loro, al di là dell’assenza. Non è stato un momento spensierato, ma è stato un momento profondo, denso di significato, di vicinanza emotiva e spirituale, pieno di rispetto e amore.
Ci siamo contate quel giorno, ci siamo chieste se avremmo potuto fare di più. Per i nostri figli, che non sono solo i nostri figli di pancia (Lapo, Federico, Elia, Tortellina, Paolo, Gabriele e la Linda) ma tutti i figli di ogni genitore colpito da lutto.
Per offrire qualche opportunità di sollievo condivisione e speranza ai loro genitori, nascosti dietro muri di parole come “non sono lutti veri” “i figli si rifanno” “genitori di bimbi mai nati”. Come se i figli fossero invisibili e incorporei fin quando non si decidono a nascere vivi. Mai nati, soprattutto, un orrendo pasticcio italiano, con quel “mai” a indicare qualcosa che non c’è mai stato, che non esiste in quanto tale.
Quindici ottobre, giornata speciale in cui i bambini “annullati” come “mai esistiti”, tornano vivi, attraverso il ricordo, la testimonianza e la forza dei loro genitori.
Perché se la morte è irreversibile, lo è anche la vita. E la vita breve o brevissima dei nostri bimbi (embrioni, aborti, itg o feti, chiamati troppo spesso soltanto così dall’opinione pubblica che preferisce non sapere che per loro c’erano nomi e nomignoli unici ad attenderli), ha un senso profondo, per alcuni quasi sacro.
Il 15 ottobre ha senso se serve a rendere rispetto ai genitori in lutto, ai loro lutti, e ai loro figli.
In Italia abbiamo bisogno di tutti i genitori e gli operatori di buon senso (sono sempre di più, e di questo sono grata), affinché anche qui da noi sia normale, e rispettabile, ricevere cura conforto e sostegno per imparare a vivere con il lutto e l’assenza fisica dei propri figli.
Abbiamo bisogno anche della tua presenza, per imparare che una madre in lutto è comunque una madre alle prese col compito più difficile di tutti: trasformare l’amore dei baci non dati, degli abbracci mancati, degli sguardi mai incrociati in un messaggio incorporeo e comunque presente.
In fondo al filo del palloncino, ci sono i cuori dei genitori che abbracciano i cuori dei loro figli dalle piccole vite.
Aiutaci a far conoscere il 15 ottobre nella tua città.
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