“Dottoressa decidere di aiutare qualcuno senza avere gli strumenti è come cercare di aiutare qualcuno che sta affogando senza essere un bagnino. Se ti va bene ti prendi solo un cazzotto, se ti va male affoghi anche te!”
Letizia Giorgini, psicologa, riflette con noi sul senso dell’aiuto, e sull’importanza della sua qualità
È una frase che mi ha detto qualche mese fa un paziente, esprime talmente bene il concetto che potrebbe essere estesa a tutte le situazioni, ma a proposito di lutto calza proprio a pennello.
Perchè il lutto, fa parte della vita, riguarda chiunque e tutti ci sentiamo un po’ bagnini.
E le persone in lutto, specialmente se la perdita riguarda un figlio,se per qualcuno sono sono da evitare come la peste, per altri invece sono nella top ten dei bisognosi, dei veri a propri poverelli che hanno perso il senso della vita e che hanno bisogno di qualcuno che indichi loro la retta via.
Nella mia esperienza, fortunatamente non ho conosciuto mai dei genitori poverelli, ma persone sofferenti molte, e nessuna di loro si è sentita meglio quando è stata trattata da poverello, ne tantomeno hanno apprezzato l’aiuto di chi voleva farsi un nome sulla loro pelle o sentirsi una brava persona a loro spese.
Il più delle volte succede che quando si agisce sull’onda emotiva del “dare una mano a dei poverelli”, si dicono cose a caso dettate dal buon senso, dalla propria esperienza o peggio dall’imbarazzo di non sapere restare in silenzio.
E così, molto spesso, mi capita di dover raccogliere i pezzi di genitori in lutto ai quali vengono dette frasi, che se in altre situazioni potrebbero essere tollerate, quando hai appena perso un figlio, possono essere la goccia che fa traboccare il vaso.
E va a finire che gli armati di buon senso fanno peggio di chi ha il coraggio di tacere.
Anche se dal lutto prima o dopo ci siamo passati tutti e crediamo di avere degli strumenti infallibili (tanto è vero che siamo ancora qui a raccontarlo), il problema è che i nostri metodi, gli strumenti che abbiamo usato, il nostro dolore era roba nostra e difficilmente è perfettamente adattabile alla vita di qualcunaltro.
I rischi di offrire aiuto in prima persona a chi sta soffrendo molto, senza essere preparati a sostenerne le conseguenze, sono molti e non riguardano solamente chi vorremmo aiutare, ma anche gli aiutanti ben intenzionati.
Entrando in contatto con il dolore degli altri, inevitabilmente si risveglia anche il nostro e potrebbe diventare molto complicato e pericoloso cercare di gestire il proprio dolore mentre qualcunaltro a cui abbiamo promesso aiuto e sostegno si sta appoggiando a noi.
Per ritornare alla frase iniziale, il rischio di affogare è veramente alto e forse varrebbe la pena di interrogarsi sui motivi che portano a fare la scelta di buttarci in acqua.
La persona che sta affogando è qualcunaltro o sono io? Chi voglio salvare buttandomi tra le onde del mare in tempesta? Se il caso mi aiuta a salvare la vita alla persona che sta affogando, cambierà qualcosa anche nella mia vita e nel mio modo di provare dolore?
E forse non sarebbe più utile per entrambi se invece che buttarmi in acqua a rischiare la vita mia e quella di un’altra persona, facessi un cenno al bagnino?